
DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATA (“ANSIA LIBERA”)
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E’ il quadro che più si avvicina alla “ex” nevrosi d’ansia. Si può definire ansia libera in quanto non si tratta di un fenomeno temporaneo, specificamente connesso ad una situazione (ansia situazionale) e quindi destinato a scomparire parallelamente all’uscita dalla situazione ansiogena. Viceversa, è sempre presente, con alti e bassi, apparentemente immotivata.
La storia personale non rivela un preciso punto d’inizio ed il periodo sintomatico appare in continuità con una precedente personalità emotiva, apprensiva. I sintomi psichici ( stato d’animo ansioso, penosa sensazione di attesa minacciosa ) e somatici ( fenomeni neurovegetativi ) sono costantemente presenti, con un andamento fluttuante. Non di rado, è presente un abbassamento del tono dell’umore; tuttavia, anche tale abbassamento è fluttuante e capace, nelle giuste condizioni, di pronto recupero.
Al di sotto di tale stato, si presuppone esistere una problematica psicologica profonda, inconscia, caratterizzata da conflittualità irrisolte. Di ciò si trova attendibile riscontro in sede di psicoterapia ( a indirizzo analitico ), che appare, peraltro, lo strumento idoneo per modificare realmente il funzionamento psicoemotivo del quale lo stato d’ansia è l’espressione. Ogni altra misura, compatibilmente con l’ipotesi di una problematica psicologica profonda, appare palliativa, anche se, ad esempio, l’uso di un ansiolitico può essere auspicabile per consentire un rapido sollievo ed anche una migliore cooperazione nel percorso psicoterapico.
Indubbiamente, una proposta di psicoterapia si scontra con difficoltà di vario ordine. Sono necessarie varie condizioni: motivazione e capacità del paziente di aderire al lavoro psicoterapico, tenuta nel tempo, possibilità economiche, etc.
E’ comunque opportuno tenere presente che la psicoterapia a indirizzo analitico (o di insight) non si identifica pienamente con la psicoanalisi; soprattutto la frequenza e la durata - dunque anche i costi - sono molto più contenute.
Le strutture pubbliche, d’altra parte, non sono generalmente in grado di offrire psicoterapie a lungo termine, per motivi di attrezzatura sia quantitativa (organico, costi, etc.), sia qualitativa: se fino ad alcuni anni fa non era richiesta agli psicologi alcuna specializzazione, oggi le nuove generazioni possiedono semmai specializzazioni di stampo prevalentemente cognitivo-comportamentale.
Spiegazioni più dettagliate si trovano nell’apposito capitolo dedicato alle psicoterapie.
Resta il fatto che non esistono, attualmente, vere alternative alla psicoterapia, se non un trattamento farmacologico solo sintomatico e quindi cronico. Quindi, questa ipotesi di intervento va, a mio parere, quantomeno presa in seria considerazione (pur nella consapevolezza che solo una minima parte di persone potrà/vorrà aderire alla proposta).
Gli ansiolitici sono comunemente imputati di provocare dipendenza e assuefazione. Tali fenomeni, in effetti, possono verificarsi, e ciò va tenuto presente, soprattutto nel prescrivere a lungo termine (sono possibili fenomeni legati all’uso di dosi importanti per tempi molto lunghi).
Tuttavia, è opportuno chiarire bene che il fatto di osservare la ricomparsa di sintomi d’ansia in coincidenza con la diminuzione/cessazione (anche se graduale) del farmaco non significa che è in atto una dipendenza fisica, da cui non si riesce ad affrancarsi (“sono come un drogato...”). Gli ipotetici sintomi di astinenza si possono verificare in caso di interruzione brusca e sono perciò evitabili con un calo lentamente graduale. La spiegazione sta invece nel fatto che, come detto poco sopra, gli ansiolitici non sono una terapia, ma solo un trattamento sintomatico; pertanto, se le problematiche sottostanti il sintomo ansia non sono state affrontate (psicoterapia) e sono rimaste irrisolte, togliendo la copertura farmacologica vedremo ovviamente riaffiorare quel che c’era e che c’è ancora. Da qui, il rischio – nel ricorrere alla sola assunzione di ansiolitici, senza una parallela terapia psicologica qualificata – di “non poter smettere”.
Più recentemente, è stato proposto, sulla base di alcune ipotesi, l’uso di antidepressivi della famiglia degli SSRI e dei SNRI, nell’ansia. I lavori attualmente disponibili mostrano casistiche apparentemente confortanti di remissione (scomparsa) dei sintomi, ma nessun caso di guarigione viene segnalato. In altre parole, mentre gli antidepressivi si sono mostrati capaci di guarire un Episodio Depressivo Maggiore (ovvero di provocare la remissione dei sintomi, che continuano ad essere assenti anche dopo la sospensione della farmacoterapia), nel caso dell’ansia, possiamo aspettarci solamente una remissione dei sintomi finché si continua ad assumere i farmaci. Gli SSRI ed i SNRI presentano quindi gli stessi problemi segnalati per le benzodiazepine (ansiolitici), relativamente al riaffioramento dei sintomi parallelamente alla riduzione/sospensione. Peraltro, l’uso di alcuni antidepressivi a scopo ansiolitico è noto e praticato da tempo, in virtù di indubbie capacità di tali molecole di funzionare in misura talvolta superiore a quella dei tranquillanti. Tuttavia, tale uso costituisce un’ eccezione, applicata in determinati casi, secondo particolari criteri di competenza specialistica.
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​marco tanzella psichiatra prato