
EPISODIO DEPRESSIVO MAGGIORE
Costituisce la patologia depressiva vera e propria.
Può esordire in modo graduale o improvviso. Può essere cronologicamente connesso ad eventi oggettivamente o soggettivamente negativi, oppure può apparire del tutto ingiustificato. In ogni caso, anche laddove si intraveda una possibile causa, lo stato depressivo acquista una sua autonomia, tanto che la successiva scomparsa della causa o la comparsa di nuovi eventi favorevoli non influenzano l’umore, che permane, immodificato.
Nel caso tipico, il quadro è caratterizzato da una diminuzione di tutte le funzioni. Al di là della profonda tristezza, l’elemento principale è il calo energetico. La depressione patologica può essere paragonata ad un’automobile con la batteria scarica. Questa grossolana metafora, se pensata in tutte le sue implicazioni, risulta piuttosto efficace. Vi sono infatti sintomi (= segnali) che, singolarmente considerati, sono necessari, ma non sufficienti per diagnosticare una condizione di patologia energetica. Il silenzio del motorino di avviamento deve trovare come corrispettivo anche l’immobilità del tergicristallo, l’assenza di luce dei fari, etc.. La presenza di uno o più elementi che funzionano normalmente suggerisce di cercare altrove il problema, piuttosto che nella batteria scarica.
Dunque, se in un’ipotetica diagnosi di patologia depressiva si ravvisa la conservazione, ad esempio, della godibilità delle cose gradevoli, la contemporanea presenza di sintomi di per sé definibili depressivi assume un’importanza molto relativa.
Pensiamo ai casi in cui il paziente descrive una propria condizione depressiva ed appare anche tale all’osservazione; tuttavia, quando andremo ad indagare sull’andamento nel tempo, quel paziente ci racconterà di come sia stato bene durante le vacanze e di come sia tornato ad essere depresso al ritorno, rientrando nella routine del lavoro, della famiglia, etc.. Oppure, nell’arco della stessa giornata, potrà riferirci di avere un normalissimo appetito e di gustare un cibo piuttosto che un altro; o, ancora, di come si senta riavere quando è in compagnia.
Il paziente con depressione maggiore è, invece, come congelato nella propria condizione e rimane stabilmente tale attraverso il tempo e gli eventi.
Nei casi più gravi, si può riscontrare la presenza di un vero e proprio delirio ( alterazione del senso di realtà) ), che, normalmente, è in sintonia con l’umore depresso ( delirio di rovina: “la casa crolla, siamo senza soldi, etc.”, a fronte di dati di realtà ben diversi, perfino se del tutto rassicuranti ).
Dunque, la diagnosi di Episodio depressivo maggiore si articola su due piani: quello trasversale (la presenza dei sintomi), e quello longitudinale (l’andamento dei sintomi attraverso il tempo e le circostanze), ne quale si verifica la implacabile persistenza dei sintomi.
Questa condizione, drammaticamente percepita dal paziente, costituisce la base per la ideazione suicida. Il suicidio appare una ragionevole via di uscita da una vita che è diventata così e non cambierà mai. Né si intravede come potrebbe cambiare, visto che niente appare in grado di modificarla. L’idea del paziente è, quindi, non già quella di avere una malattia (che porta a vedere la realtà deformata), bensì quella di avere subìto una modificazione del proprio essere e della propria realtà. -
ATTEGGIAMENTO TERAPEUTICO
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Quando sia stata correttamente formulata la diagnosi di depressione maggiore, tale diagnosi va restituita al paziente assieme alla nozione di malattia, dunque con un messaggio decolpevolizzante. Il paziente con depressione maggiore è già patologicamente orientato verso il senso di colpa. Egli si ritiene in qualche modo responsabile della propria condizione e, più che mai, del non riuscire ad uscirne. A ciò si aggiungono i commenti e le esortazioni del suo contorno di relazioni, che aggravano tale posizione ( se non ci si aiuta da soli... le medicine fanno fino ad un certo punto... cerca di reagire... etc.). Tali esortazioni, per quanto, solitamente, formulate con le migliori intenzioni, risultano deleterie per il paziente, che rinforza così la propria idea di depressione come fallimento personale. Il messaggio deve invece avere una funzione liberatoria rispetto all’idea di fallimento-colpa, sostenendo quella, decolpevolizzante, di malattia.
La proposta di una definizione della depressione in termini di malattia consente immediatamente di fornire l’altro messaggio fondamentale, ovvero quello della curabilità. Se c’è patologia, vi può essere cura, al pari di ogni altra branca medica. Al paziente non si chiederà altro che seguire scrupolosamente le terapie, magari con l’ausilio dei familiari, senza che occorra alcun altro sforzo; inoltre si sottolineerà che non importa che creda nella efficacia della cura ( il paziente ha un pessimismo patologico che gli toglie la speranza), ma solo che la effettui. Infine, si trasmetterà la ferma asserzione che si tratta di una malattia a carattere temporaneo. -
EPISODI DEPRESSIVI MAGGIORI RICORRENTI
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In un discreto numero di casi, si assiste al ripetersi di episodi depressivi maggiori seguenti al primo, dopo un intervallo di benessere, almeno alcuni mesi, successivo alla sospensione della farmacoterapia.
La probabilità di avere un secondo episodio, ma solo uno, dopo il primo, entro uno-due anni, è molto elevata ( circa il 50%).
Dal terzo episodio in poi, si configura invece la probabilità di essere in presenza di un disturbo ricorrente, che implica il ripresentarsi periodico, ad intervalli simili o variabili, di episodi depressivi per un numero indeterminato.
Tali episodi vengono definiti recidive, distinti dalle ricadute, che consistono in un nuovo peggioramento in corso di terapia, ovvero all’interno dello stesso episodio, spesso in coincidenza con una riduzione-sospensione prematura della terapia.
Le recidive possono essere prevenute con gli stabilizzatori dell'umore (vedi pagina successiva), anche se non sempre danno i risultati attesi, o comunque richiedono spesso aggiustamenti delle dosi e/o associazioni, diverse per ogni singolo caso. ,
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marco tanzella psichiatra prato